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Tavecchio stop: l’ultimo “ei fu” del calcio italiano

07.10.2014 | 22:30

Bisogna essere positivi, propositivi, guardare alla vita con fiducia. E puntare su personaggi in grado di consentire il salto di qualità, sempre. Ma quando parliamo del calcio italiano facciamo fatica a trovare il sorriso. Non soltanto perché intossicati dalle ennesime, recenti, polemiche post Juve-Roma, ma perché abbiamo uomini di presunto spessore che ci tolgono (forse) le speranze che ci restano. L’ultimo “ei fu” del calcio italiano chiama in causa Carlo Tavecchio, il presidentissimo tra i presidentissimi (?) che ha avuto l’abilità (? bis) di scivolare sulla peggiore buccia di banana. L’insulto razzista. Lui che, sulla carta e non, dovrebbe dare l’esempio, super partes, mantenendo il controllo totale anche nelle situazioni più delicate e/o complicate. Invece, no. E’ scivolato ancor prima di poter dare una minima traccia del suo mandato, ha beccato sei mesi di squalifica, ha reso ancora più pesante una situazione insostenibile. Credibilità. Correttezza. Trasparenza. Organizzazione. Civiltà. Sarebbero queste alcune delle cose, almeno quelle, da garantire quando ricoprì un ruolo così importante. Adesso Tavecchio dovrà dare risposte sul sociale, organizzando qualcosa relativa al settore che lo ha portato a sbagliare in modo così pesante. Ci chiediamo e vi chiediamo: ma ha ancora senso portare avanti la candidatura di Tavecchio dopo quanto accaduto? Succederebbe altrove? Non sarebbe meglio ricominciare da zero, dopo una macchia così pesante e importante, sanzionata giustamente come avrebbero dovuto? Servono risposte serie e decisioni ancora più serie dopo l’ultimo “ei fu” del calcio italiano. Lo stesso seppellito da anni sotto le macerie che hanno fatto sprofondare il ranking più importante – quello della credibilità – migliaia di chilometri sotto lo zero.