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Marco Rossi esclusivo: “Vi racconto la mia Honved al comando”

14.12.2016 | 23:00

Il made in Italy della panchina funziona, eccome. Tanti i tecnici patinati volati oltre confine negli ultimi tempi, quasi tutti con riscontri ottimi. La copertina però non possono meritarla sempre e soltanto Conte e Ancelotti, al comando dei rispettivi campionati con Chelsea e Bayern Monaco. Sarebbe abbastanza scontato. Non tutti sanno ad esempio che in Ungheria c’è un club blasonato come l’Honved Budapest (squadra alla quale per 19 anni, giovanili comprese, legò il suo nome un certo Ferenc Puskas) che quest’anno sogna concretamente di tornare a vincere il campionato dopo 23 anni. Un club allenato da un italiano che nella terra dell’est ha trovato la sua dimensione ideale, dopo le esperienze con Lumezzane, Pro Patria, Spezia, Scafatese e Cavese, fra terza e quarta serie. Stiamo parlando di Marco Rossi, 52 anni, protagonista da calciatore negli Anni 80 e 90. Nel suo atto II al timone dei rossoneri della Capitale magiara, il condottiero torinese sta letteralmente incantando, al punto che sabato scorso è riuscito ad agguantare in vetta Videoton e Vasas, mentre il Ferencvaros campione in carica è a quattro lunghezze. E oggi accendiamo i fari su questa bella realtà, intervistando in esclusiva per il nostro sito Rossi, per il quale suonano tante sirene di mercato, dalla Repubblica Ceca agli Emirati, passando per la Championship e la B cinese.

America di Città del Messico ed Eintracht Francoforte da giocatore, Honved da allenatore: l’estero nel suo dna calcistico o c’è dell’altro?
 
“Da giocatore sono stato uno dei precursori, ritenevo di non aver avuto molto spazio alla Samp con Eriksson e mi si prospettò l’opportunità dell’America che colsi volentieri, poi dopo l’Eintracht rientrai in Italia. Quanto all’Honved, questo ormai è il quinto campionato per me alla guida della squadra, sia pur in due riprese. La prima si chiuse nella primavera del 2014, quando rassegnai le dimissioni perché pensavo di aver esaurito il percorso a Budapest. Poi cambiarono 3-4 allenatori in pochi mesi e il febbraio successivo mi richiamarono, unitamente al mio secondo Cosimo Inguscio. La scelta di venire in Ungheria è stata dettata dal fatto che in Italia non vedevo sbocchi, avevo sempre allenato squadre candidate alla retrocessione diretta già ai blocchi di partenza. Dopo l’esonero di Cava per quasi un anno e mezzo non avevo avuto offerte, poi incontrai a Budapest Fabio Cordella, ai tempi ds dell’Honved, e lui mi diede questa possibilità”.
 
In squadra non è l’unico a parlare italiano…
 
“Infatti, oltre a me ed a Cosimo Inguscio, da quest’anno c’è anche Giovanni Costantino, nel ruolo di assistente di campo e match analyst. E poi chiaramente c’è Lanzafame, con il quale da maggio avevo intensificato i contatti, perché volevo fortemente riportarlo all’Honved e fortunatamente ci sono riuscito, supportato dal presidente. Davide sta facendo molto bene, con 7 gol e 3 assist in 11 partire ha fatto la differenza”.
 
Honved di nuovo al tavolo delle grandi, può restarvi stabilmente?
 
“Nel calcio, l’abbiamo visto l’anno scorso in Inghilterra con il Leicester, può anche succedere di riuscire a far saltare il banco senza essere accreditati dei favori del pronostico. Noi, per quello che si è visto finora sul campo, siamo dove siamo perché lo abbiamo meritato con risultati e prestazioni. Qui c’è un gruppo con grandi motivazioni ed entusiasmo, uno spogliatoio unito e anche qualità naturalmente. Abbiamo giocato 19 gare, ne mancano 14 ma ora c’è la lunga sosta invernale con il mercato di mezzo. E sappiamo bene che Videoton e Ferencvaros possono rinforzarsi molto, avendo un budget di 7-8 volte superiore al nostro. Ma noi, se riprenderemo come abbiamo lasciato, potremo giocarci le nostre chance fino in fondo”.
Dopo Nagy, Sallai e Balogh, c’è qualche altro elemento in Ungheria che da subito o in prospettiva potrebbe misurarsi in Serie A?
 
“Sì, a me piace molto un altro Nagy, in Ungheria è un cognome molto diffuso. Parlo di Dominik Nagy del Ferencvaros, un classe 1995 che può fare indifferentemente il trequartista o l’esterno. Adesso dovrebbe andare a giocare in Polonia, ma si tratta di un giocatore interessantissimo. E poi c’è un nostro ’96, Daniel Gazdag, un centrocampista di gamba con grande carica agonistica, buona tecnica e ottimi tempi di inserimento. Deve migliorare nella finalizzazione, ma è un ragazzo che in Italia potrebbe crescere e fare bene”.
 
Anche lei, come Conte in Premier, sta andando alla grande con la difesa a 3. Un sistema prima snobbato, adesso fortemente rivalutato. È arrivato il momento di sdoganarlo definitivamente?
 
“Mi sembra una buona lettura. Noi, in questa seconda avventura all’Honved, abbiamo alternato 4-3-3 e 3-5-2, quest’anno siamo passati a tre dal vittorioso scontro diretto con il Vasas. È un modulo che garantisce ai centrali difensivi la possibilità di essere molto più feroci in marcatura, a quattro può capitare che il centrale non sappia se uscire, se andare a prendere l’uomo tra le linee, perché prima deve accertarsi di essere coperto. Giocando con tre dietro, e con il lavoro degli esterni, invece questo non succede. Io però credo che, ancor prima dei numeri, a fare la differenza sia l’interpretazione dei moduli. Un 3-5-2 può rivelarsi anche più offensivo di un 4-2-4, la bravura di un allenatore sta anche nel dare ai propri giocatori la giusta chiave di interpretazione”.
 
Un pensierino all’Italia per il futuro?
 
“Non so, se mi si presentasse qualche opportunità potrei anche pensarci. Ma sinceramente adesso mi sembra molto improbabile, probabilmente è questa la mia dimensione. Da quando sono qui mi sono stati riconosciuti grandi meriti, ho registrato l’apprezzamento di addetti ai lavori e anche dei tifosi avversari, non solo dei miei. Mi auguro di avere una buona carriera all’estero”.
Jody Colletti
Foto: Nemzeti Sport