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MAGATH, UN SERGENTE DI FERRO PER IL FULHAM

15.02.2014 | 09:31

Provate a pronunciare il nome di Felix Magath al cospetto di un tifoso juventino di lungo corso: sul suo viso apparirà una smorfia, l’espressione improvvisamente si corruccerà. Sì perché il nostro personaggio del giorno, risvegliatosi per la prima volta da allenatore del Fulham, nel 1983 diede un grande dispiacere alla Vecchia Signora inaugurando il ventennio di finali di Coppa dei Campioni, oggi Champions League: da Atene a Manchester, dall’Amburgo al Milan, la chiusura di un cerchio negativo per un ruolino complessivo di due vittorie – contro Liverpool e Ajax – e ben 4 sconfitte. Probabilmente quella contro la compagine anseatica è assimilabile alla sfida persa nel 1997 contro il Borussia Dortmund, in entrambi i casi i piemontesi partivano con gli assoluti favori del pronostico, purtroppo poi non rispettati. Al minuto 8 della contesa disputatasi all’ombra del Partenone, infatti, il ventinovenne Magath con un mancino da posizione defilata freddò Dino Zoff riuscendo a vendicare la notte di Madrid, quando sei bianconeri alzarono la Coppa del Mondo davanti agli occhi del Presidentissimo Pertini e lui dovette accontentarsi della medaglia d’argento. In Grecia, invece, alla Juventus per portare a casa la prima Coppa dalle grandi orecchie non bastarono l’eleganza di Scirea, la grinta di Gentile, la corsa di Cabrini e Tardelli e il killer instinct di Pablito Rossi. Nulla poté persino il genio di Le Roi Michel Platini.

Fu quello il punto più alto della carriera del Felix calciatore, un percorso iniziato nella natia Aschaffenburg e poi denso di successi con la maglia del suo Amburgo, indossando la quale conquistò tre titoli in Bundesliga e la Coppa delle Coppe 1976-77, per un totale di 306 presenze con 46 gol all’attivo. Mentre in Nazionale arrivò l’alloro europeo nell’edizione italiana del 1980 e un’altra amara piazza d’onore nel 1986, quando la Germania Ovest fu costretta alla resa dall’Argentina di Diego Armando Maradona.

Nato il 26 luglio del 1953 in una base militare alemanna, da un soldato portoricano arruolato nell’esercito statunitense e una donna tedesca, Saarbrücken e Bayer Uerdingen sono state le altre compagini che lo hanno visto protagonista con le scarpette chiodate ai piedi. A 39 anni Magath inizia la carriera da tecnico, con le mansioni di allenatore-giocatore, in quinta serie al Bremerhaven, mentre l’anno successivo torna sulle rive dell’Elba per guidare la seconda formazione amburghese, fungendo nel contempo da assistente di Möhlmann – ai tempi alla guida della prima squadra – per poi raccoglierne definitivamente l’eredità nel 1995. Da quel momento l’ascesa di Felix è costante, ai presidenti piace per la nomea da sergente di ferro e la durezza degli allenamenti, che gli valgono anche il celeberrimo (quanto poco edificante) epiteto di Saddam. Dal 1997 al 2012 un intenso girovagare lo porta sulle panchine di Norimberga, Werder Brema, Eintracht Francoforte, Stoccarda, Bayern Monaco, Wolfsburg, Schalke e ancora Wolfsburg. Il triennio in Baviera si rivela ricco di soddisfazioni, arrivano infatti tre Meisterschale, due Coppe nazionali e una Coppa di Lega (oggi Supercoppa di Germania). Nulla a livello continentale, eccezion fatta per l’effimero Intertoto nel 2002 con lo Stoccarda.

Ma verosimilmente il trionfo che occupa più spazio nel cuore dello stratega Felix Magath è rappresentato dal campionato conquistato, a dispetto di ogni pronostico, nella stagione 2008-09 al timone del Wolfsburg di Dzeko, Grafite e Barzagli. Un unicum nella storia dell’irriconoscente club della Volkswagen che, malgrado l’impresa, gli dà il benservito per affidarsi ad Armin Veh. E per poi richiamarlo nel marzo del 2011, atto II conclusosi nell’ottobre del 2012.

Negli ultimi giorni, dopo 16 mesi sabbatici, l’accelerata improvvisa: prima le qualificate voci sul ritorno al primo amore Amburgo, offerta declinata. Poi il Fulham fanalino di coda in Premier League, al quale si è legato fino al 30 giugno del 2015. La proprietà dei Cottagers per centrare la salvezza ha scelto lui e Felix, a 60 anni suonati, ha finalmente deciso di misurarsi fuori dai confini nazionali, accettando la sfida. D’altronde la classifica è ancora corta e, con 12 gare ancora a disposizione, i margini per centrare l’obiettivo sussistono. Non vorremmo però trovarci nei panni degli atleti londinesi: rispetto agli olandesi Jol e Meulensteen, il sergente Magath sarà tutta un’altra cosa.