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LOTITO A LEZIONE DA MAROTTA

29.09.2014 | 00:15

Alla voce Lotito leggo e memorizzo: deferito, inibito, accusato di aggiotaggio poi andato in prescrizione. Una sera di qualche anno fa mi tenne quaranta minuti, dopo una trasmissione, per spiegarmi la sua teoria sulla “morale, comportamenti, lealtà”. Poi leggo quelle cose e penso: certo, ci vuole coraggio… Mi tenne quaranta minuti, sputando veleno sulla categoria dei giornalisti, disinformati e prevenuti, la stessa che spesso utilizza per mandare i suoi messaggi. Dice il saggio: quella nei riguardi di Marotta è stata una caduta di stile… Una caduta? Perché, ha stile Lotito? Quale, dove, come, quando? Uno per cadere deve avere lo stile, altrimenti affoga nella volgarità. Quella sera per quaranta minuti Lotito mi fece lezioni di lealtà, mentre fuori dalla tv (dove era arrivato con il solito ritardo: dicono che certi procuratori attendino anche sei o sette ore, lui non conosce la puntualità, anche se la parola giusta sarebbe diversa) un’auto con i lampeggianti lo stava aspettando. La scorta, per cosa e perché io non l’ho mai capito, siamo in Italia. Viva l’Italia. Quattro mesi fa mi hanno sospeso la patente: omissione di soccorso per un incidente mai visto. Siamo in Italia. Viva l’Italia. Ora, io penso che se mi sospendono la patente per un incidente mai visto, giusto che Lotito abbia la scorta senza un perché e un per come. Giusto che la scorta aspetti quaranta minuti fuori con i lampeggianti, tanto la paghiamo noi. Giusto che il calcio italiano sia finito in questo vicolo. Non cieco, semplicemente vicolo Lotito: mi dicono che qualcuno ha il terrore quando parla lui. E se lui parlasse sempre in latino, piuttosto che in italiano fatto di intercalari (“guardi”, “guardi”, “guardi”: a ogni domanda risponde così), ci risparmierebbe certe cadute. Che al confronto, come ho detto venerdì in tv, i frequentatori dei peggiori bar di Caracas sono rispettabilissimi gentiluomini. A proposito: i frequentatori di Caracas potrebbero non accettare il confronto e chiedere i danni.
Parlando di Marotta, l’ironia di Lotito è stata un misto tra il vomitevole e lo scontato. Scontato perché oggi siamo rappresentati da Lotito, quasi tutti figli di, l’uomo dei deferimenti, delle inibizioni e dell’aggiotaggio andato in prescrizione. Così Lotito sull’amministratore delegato della Juve: “Il problema con Marotta è che con un occhio gioca a biliardo e con l’altro mette i punti”, ecco la sintesi del vomitevole riferimento allo strabismo del dirigente bianconero. Premesso che da Marotta il signor Lotito potrebbe prendere lezione di calcio (e di stile) prima e dopo i pasti, con approfondimenti magari durante la merenda, la domanda è: al prossimo giro cosa si inventerà l’uomo capace – unico al mondo o quasi nella storia dei presidenti – di far venire il voltastomaco a un’intera tifoseria, quella laziale? Capace di essere contestato a Salerno? Capace di suggerire direttori sportivi, uno in modo particolare gli fa da scendiletto tutti i giorni, anche in questo caso prima e dopo i pasti. Fossi in Marotta, la prenderei a ridere: lo spessore è quello, basterebbe pescare nei peggiori bar di Caracas per trovare di meglio. Ma io non sono sorpreso, Lotito ha complici anche nella mia categoria. 
Ve ne racconto una di qualche mese fa: un inviato di Sportitalia, Luca Cilli, sta provando a fare con diligenza quello che dovrebbero fare tutti i giornalisti del mondo. Ovvero, qualche domanda a Lotito nel bel mezzo della nomina di Conte a commissario tecnico. Lui, il signor deferito più inibito più aggiotaggio prescritto, lo guarda dall’alto in basso e poi gli fa: “Spegni ‘sta radio”. Evidentemente non gradisce quel pressing mediatico. Alle spalle un gruppetto di giornalisti intento a ossequiare e non contraddire sor Claudio, il signor deferito più inibito più aggiotaggio prescritto…. Qualcuno lo conosco bene, classico figlio della scarsa meritocrazia che ogni tanto c’è all’interno di una redazione media. Tutti a spalleggiare Lotito che prende in giro un giovane giornalista, piuttosto che assumere una posizione “con le palle” a difesa di un collega non espertissimo che viene deriso mentre sta cercando di lavorare e si è imbattuto nell’uomo capace di essere detestato dal novantanove per cento della tifoseria laziale. Dite novanticinque e non novantanove? Sempre record è.
Certo, bisognerebbe parlare anche di calcio. Per fortuna, direi, visto che i temi non mancano. Se la Juve ha il Cannibale, Tevez li sbrana tutti, la Roma risponde con quel “matto” di Alessandro Florenzi. Matto nel senso buono, ci mancherebbe. La duttilità al potere, quei gol (in tutte le soluzioni, al massimo dell’imprevedibilità) li segnava anche a Crotone. Ma siccome era serie B nessuno li pesava come avrebbe dovuto. Siccome quel “matto” di Florenzi ha avuto la forza di ripetere lo stesso repertorio in serie A, chiaramente con i coefficienti di difficoltà molto più alti, bisogna soltanto esaltare questo made in Italy, fine gioielleria piuttosto che altissima bigiotteria. E avremmo bisogno di tanti Florenzi, sarebbe bello. Il resto è di una noia quasi mortale: Inzaghi dice che il Milan ha risentito del caldo, dai Pippo hai tutto il tempo che vuoi, ma non arrampicarti, il clima c’entra poco, non ha senso; Mazzarri non ci spiega per quale motivo l’Inter in difesa perda ettolitri di acqua; non si capisce perché la Fiorentina non dia più spazio a Bernardeschi, col senno del prima e non dopo l’assist a Babacar. Il Napoli? Ha ancora mille problemi, ma almeno ha vinto, servirà per non affogare nei veleni per almeno una settimana. E se Zeman si toglie qualche sassolino dopo l’impresa di San Siro (“Avevano già dato il Cagliari per retrocesso”), Ekdal spiegherà ai nipotini – tra vent’anni – che tre gol all’Inter li poteva stampare solo con quel signore boemo in panchina. O no?
 
Ps: sabato sera, dopo Roma-Verona, hanno dato del catenacciaro a Mandorlini. Sinceramente mi è sembrata una mezza cattiveria, se non una cattiveria completa. Se il Verona ha una caratteristica è quella di giocare sempre, almeno di provarci. Come ha fatto nel primo tempo dell’Olimpico, malgrado tantissime assenze (come quelle di Garcia, del resto). Nella ripresa la Roma ha forzato, ha pressato, sarebbe stato difficile per chiunque. Mandorlini non merita quell’etichetta, chi gliel’ha affibbiata dovrebbe documentarsi sul Verona e sul modo propositivo di fare calcio. I catenacci bisognerebbe metterli ai piedi di chi, non sono pochi, ha fatto mille attentati alla normalità del nostro calcio. Invece, chissà perché, lorsignori viaggiano sempre a piede libero.