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L’INCUBO DI LEO

14.07.2014 | 15:15

Caro Leo, dicevano così: Messi è il numero uno al Mondo? Lo dimostri in Brasile”. Non è andata benissimo: certo, la sfortuna di perdere la finale all’overtime, maledetto quel Gotze che ha tirato fuori il coniglio dal cilindro. E che coniglio… Ma proprio sul più bello, quando avresti dovuto esserci e caricarti la squadra sulle spalle, non c’eri. Non hai fatto male, anzi; non hai deluso; eri partito anche bene. E ti hanno premiato come migliore calciatore del torneo, sembrava quasi una presa in giro… Ma la finale è la finale, proprio in quel momento avresti dovuto dimostrare quello che ti avevano chiesto senza troppi giri di parole. L’invocata risposta non è arrivata.

Caro Leo, il problema non è l’abbuffata di Palloni d’Oro che hai fatto. Quelli nessuno te li può togliere, li hai certificati con stagioni indimenticabili e forse irripetibili, interpretavi il Barcellona con la voglia famelica dell’attaccante che non conosceva la parola stop. Gol su gol, prodezze memorabili, serpentine e magie, veroniche e follie poco digeribili per i difensori che ti stavano addosso. Il problema non era quello, chi potrebbe semplicemente permettersi di dire mezza parola, di bestemmiare dinanzi al tuo Museo ricco di capolavori, affreschi veri della Liga? Il problema è che ti avevano chiesto, con forza e quasi disperazione, di ripetere almeno una parte di quelle giocate con la maglia della Nazionale. Un passaggio obbligato e invocato da tempo. Lo avevi sentito lo slogan, non poteva passare inosservato. Lo slogan: “Messi deve essere decisivo non soltanto con la maglia del Barcellona”. Proprio così: de-ci-si-vo. E dinanzi a un aggettivo così non ci sono vie di mezzo o scorciatoie: lo sei, oppure no. E il Brasile ha detto che, sotto questo punto di vista, qualcuno ti ha rispedito al mittente. E dovranno trascorrere altri quattro anni per dare una risposta a chi, preparati a fare i conti con questi signori, sostiene che tu non sia de-ci-si-vo lontano dal club di riferimento.

Caro Leo, non te la prendere perché poi c’è un’altra storia. La più ingombrante, quella che ti toglierà un bel po’ di serenità. La sintesi era quel tuo sguardo basso quando ti stavano consegnando un inutile trofeo che, se avessi potuto, avresti scaraventato nell’Oceano. La storia, caro Leo, è rappresentata dal maledetto e continuo parallelo con Diego. Diego chi? C’è un solo Diego, si chiama Maradona. Sussurreranno che lui sapeva trascinare l’Argentina e portarla sul tetto del Mondo. E tu no. Ripeteranno che lui rendeva gregari gli altri, chiunque altro, anche se si trattava di ottimi interpreti. E tu no. Martelleranno sul concetto dell’Unico che fa la differenza, caricandosi la squadra sulle spalle in qualsiasi minuto, senza sprecare il minimo secondo. E tu no.

Caro Leo, te lo diciamo: sarà dura. Ma già lo sai, dovrai fartene una ragione. Oppure no.