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GAME OVER MILAN

12.03.2014 | 13:26

Adesso Adriano Galliani, dopo aver smaltito la sbornia Atletico Madrid, dirà: “Ma negli ultimi dieci anni il Milan…”. Snocciolerà una serie di dati, troverà qualche cronista compiacente (in testa quelli che annunciarono “D’Ambrosio sarà rossonero”, evviva), quelli che non tradiscono mai e che per una notizia si butterebbero dal ventottesimo piano del grattacielo senza il materassino sotto.
Se il Milan fosse una giustificazione verbale, un’intervista da rilasciare per convincere il prossimo, Galliani avrebbe già vinto. Perché è un noto equilibrista, un fenomeno della comunicazione, oltre che un dirigente che negli anni ha dimostrato una competenza superiore alla media. Ma l’ultimo Galliani ha perso colpi, ha fatto scelte opinabili, avallando l’allenatore di turno oppure no. Soprattutto, questo è il nodo: non esiste che il Milan possa collezionare figure barbine come quella del Vicente Calderon. Sarebbe meglio, molto meglio, non giocare la Champions, restare a casa per qualche anno. In attesa di trovare un minimo di competitività che giustifichi la partecipazione a manifestazioni così importanti. Senza correre il rischio di macchiare la storia gloriosa.
Se il Milan non fosse una giustificazione verbale, bisognerebbe ripassare la lezione di Madrid. E promettere a se stessi, più che ai tifosi, di non essere più coinvolti in certe figuracce. Una squadra esposta a mille spifferi, capace di tornare in partita soltanto per uno squillo di Kakà, di durare quindici minuti per poi esporsi a figuracce inenarrabili. Una squadra senza la più pallida idea di organizzazione difensiva: mancanza di qualità, certo, ma cedimenti strutturali che – ormai da sempre – fanno capolino. Scommettiamo che, se dipendesse ancora da Galliani, al prossimo giro di carte si andrebbe alla ricerca di un altro trequartista ignorando i problemi enormi che il Milan ha nei primi 30-40 metri?
Se il Milan non fosse una giustificazione verbale, con qualche cronista compiacente pronto a prostrarsi, si metterebbe la parola fine a questo balletto del nulla. Non si può pensare di essere furbi e gli altri tutti stupidi, prendendo Essien e immaginando che il Chelsea si liberi a cuor leggero di un campione. Gli altri non sono stupidi, al massimo sono pronti a rifilarti dei pacchi. E il tuo mercato non può essere soltanto quello dei soldi, piuttosto dovrebbe essere anche quello delle poche idee ma buone. Con i soldi sono bravi tutti, se le idee ti abbandonano quando la cassaforte è vuota, beh non ti resta che piangere.
Se il Milan fosse una giustificazione verbale, Galliani sarebbe un artista a trovare la chiave per convincere tutti. Ma serate come quelle di ieri si sommano ai quasi 40 punti di ritardo dalla Juve in campionato. Si, 37 per la precisione: roba da nascondersi per un mese in un rifugio e uscirne quando si è sicuri di non incrociare qualcuno. E’ finita l’ora delle parole, la stagione ha compreso troppi passaggi umilianti. Dovrebbe capirlo anche Galliani che ha costruito il “capolavoro” mettendosi di traverso tra la decisione di Berlusconi (esonerare Allegri) e la voglia di fargli cambiare idea, riuscendo nell’impresa e pensando che sarebbe bastato quel passaggio per trovare la retta via.
Certo, si potrebbero trovare altri particolari inquietanti nell’umiliante notte di Madrid: le scelte di Seedorf, la strafottenza di Balotelli, tutto quello che volete. Ma sono dettagli rispetto all’impotenza complessiva del Milan. Game over, a patto che serva da lezione. Altrimenti la musichetta della Champions resterà un ricordo. E i proclami di Galliani troveranno sfogo soltanto nei dvd belli, sfavillanti, ma che appartengono al passato.
Game over, Milan. A qualcuno presenteranno il conto. Finora soltanto a Braida, il meno colpevole. Lo stesso che da anni timbrava il cartellino senza avere un peso specifico in qualsiasi tipo di decisione. La notte di Madrid deve essere quella dei rossori: se il Milan la lasciasse scivolare come ordinaria amministrazione, significherebbe che non ha più voglia di fare il Milan. E restarebbe soltanto la storia, sic, nei secoli dei secoli.