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FÚTBOL BAILADO E DNA VINCENTE: DANI ALVES, L’ARMA LETALE AL SERVIZIO DEL SOGNO JUVE

10.05.2017 | 09:25

Dani Alves

Era il 25 maggio 2016 quando il quotidiano catalano Sport, in prima serata, sganciava un’indiscrezione clamorosa: Dani Alves alla Juventus a parametro zero. Un contropiede cotto e mangiato. Da lì a poco sarebbero arrivate le debite conferme. Operazione portata avanti sottotraccia da Marotta e Paratici, consapevoli che all’atto dell’ultimo – problematico – rinnovo dell’esperto brasiliano con il Barcellona era stata prevista una clausola che avrebbe consentito all’esterno classe 1983 di liberarsi gratis, con un anno di anticipo rispetto alla naturale scadenza fissata per il 2017. Un colpo importante, il primo della serie che ha portato a Torino anche i vari Pjanic, Benatia, Pjaca e Higuain, oltre al ritorno di Cuadrado. Daniel, varcata la soglia dei 33 anni, aveva deciso di fare un’altra esperienza, gli servivano stimoli nuovi lontano da quella Spagna che lo aveva accolto nel 2002, dopo l’unico anno da professionista in patria, tra le file del Bahia, club nel quale era cresciuto calcisticamente. A proposito, ricordate quanto scucì per il suo cartellino Monchi, neo ds della Roma che ai tempi iniziava a plasmare il miracolo Siviglia? Appena 500mila euro, per quel 18enne tutto estro e fútbol bailado che poi rivendette per 40 milioni, bonus compresi, al Barcellona nel 2008. La nuova esperienza, dicevamo. Tutti possono averne voglia, a maggior ragione a chi in carriera ha vinto tutto il vincibile a livello di club, come certificato dal palmarès personale che parla di  6 Liga, 5 Coppe del Re, 5 Supercoppe di Spagna, 4 Supercoppe europee, 3 Champions League, 3 Mondiali per club e 2 Coppe Uefa, per un totale di ben 28 trofei. Con la fondata speranza di anteporre il numero 3, entro 24 giorni da oggi: basterebbe che la Juve, oltre al sesto scudetto della leggenda, vincesse una delle due finali che possono portarla a centrare il Triplete.

Per Alves, arrivato a Torino con un carico di buonumore che ha subito contagiato tutti, l’inizio non è stato semplice. Quasi da cancellare i primi tre mesi, il funambolo carioca faticava a sintonizzarsi sulle frequenze del calcio italiano, abituato com’era alle praterie iberiche con maglie difensive larghissime tra le quali affondare come lama nel buro. Troppe finte, tacchi e giocate nello stretto spesso fallite, lo stesso Allegri a più riprese lo aveva invitato ad essere meno fumoso e più concreto. Dopodiché, storia del 27 novembre, la frattura al perone  nella gara contro il Genoa. Per molti il definitivo colpo di scure sull’avventura italiana di Dani, al quale in tanti fino a quel momento avevano dato del bollito, giunto alle latitudini di Vinovo esclusivamente per svernare.  Il calcio però è bello perché sa stupirci sempre. Nelle settimane passate lontano dal rettangolo verde, l’esterno verdeoro ha memorizzato appieno le sfumature da correggere e così, dopo aver recuperato a tempo di record dell’infortunio (dopo meno di due mesi era già in panchina), lavorando alacremente è riuscito a sovvertire le gerarchie di Allegri. E progressivamente si è preso la fascia destra, altro che semplice alternativa a Lichtsteiner (frattanto riconciliatosi con la società dopo la burrasca di fine estate). Dall’inizio di febbraio titolare in campionato, poi la svolta di Oporto, con la zampata del 2-0 (un minuto dopo l’ingresso dalla panchina) nell’andata degli ottavi di Champions League, la “sua” competizione per eccellenza che al primo anno di Juve – ironia della sorte – gli ha fatto incontrare, ed eliminare, da avversario proprio Siviglia e Barcellona. Estadio do Dragão gelato, prima tappa bianconera della marcia di avvicinamento a Cardiff nella fase a eliminazione diretta.

Da quel momento in poi Dani Alves ha rappresentato un’arma letale, divenuto pienamente consapevole dei movimenti richiesti da Allegri in fase difensiva, inizialmente un tallone d’Achille dato che il campione carioca, nato a Juazeiro il 6 maggio del 1983, aveva sempre interpretato il ruolo in chiave offensiva: un attaccante aggiunto, piuttosto che un terzino. Al resto ha pensato lo stratega Max che, con il trascorrere dei giorni e il crack di Pjaca da metabolizzare, essendo rimasto orfano di alternative per gli esterni del 4-2-3-1 tirato fuori magicamente dal cilindro a gennaio, alla bisogna ha iniziato ad avanzare Dani nella batteria dei tre a sostegno di Higuain, una sorta di alter ego di Cuadrado, più idoneo per caratteristiche a spaccare la partita subentrando in corso d’opera. Contro i blaugrana nei quarti due prestazioni maiuscole, al suo amico Neymar – da consolare al Camp Nou a fine partita – non l’ha fatta vedere quasi mai. Per il Monaco, invece, è stato letteralmente una sentenza. All’andata due assist al bacio per Higuain, assolutamente geniale il primo di tacco all’interno di un’azione da dvd, pregevole lo spiovente per la zampata del raddoppio. Al ritorno, ieri sera, prima ha sfornato il cross vincente per Mario Mandzukic, andato a bersaglio, poi si è messo in proprio chiudendo definitivamente i giochi esibendosi nel tiro al volo da manuale, da fare vedere e rivedere più volte ai bambini: una volée che non ha lasciato scampo al povero Subasic. No, Dani Alves non era solo quello che su Instagram cantava Despacito o apriva bottiglie di birra in rovesciata. Decisamente no. Dall’alto delle 693 gare ufficiali disputate, condite da 44 gol e ben 151 assist (più 100 presenze tonde con la Seleção, 7 reti e 16 assist all’attivo), Il laterale neo 34enne ha contribuito ad iniettare ulteriore classe e mentalità vincente ad un gruppo già granitico, alla ricerca di una nuova finale di Champions dopo quella persa nel 2015 proprio contro di lui. Missione compiuta, nella convinzione di poter finalmente invertire il trend che ha visto la Juventus sconfitta negli ultimi precedenti. Applausi a scena aperta, ancora una volta, per Marotta e Paratici. Quando il gioco ha iniziato a farsi duro, Dani Alves è passato in men che non si dica dallo status di pesce fuor d’acqua a quello di valore aggiunto, elemento assolutamente imprescindibile per chi sogna, a pieno titolo, di riscrivere la storia da qui alla sera del 3 giugno.

Foto: Twitter Champions League