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Ferrigno e il commosso ricordo di Gianni Prete

28.10.2020 | 22:15

Da pochi giorni, dopo una malattia, ci ha lasciato Fabrizio Ferrigno protagonista sia da calciatore che da dirigente. Pubblichiamo con piacere il commosso ricordo dell’avvocato Gianni Prete che aveva un bellissimo rapporto di amicizia con Ferrigno. E che ha voluto raccontarcelo in alcuni passaggi di grande umanità e tutti da leggere.

“Io e Fabrizio ci siamo conosciuti nel 1998. Lui giocava in serie B a Padova ed alla squadra veneta avevo portato Luca Landonio e Pedro Mariani. Ci incontravamo spesso la sera a Montegrotto, al ristorante da Nicola. Creammo subito un bel rapporto. All’epoca aveva già un procuratore. Nella stagione successiva, 1998/99, si trasferì in prestito al Giulianova, dove mi recavo con frequenza avendo lì tantissimi calciatori che gestivo. Il nostro rapporto di amicizia si intensificò anche perché ero solito andare spesso a trovare i miei assistiti.  A fine stagione tornò al Padova e continuammo a vederci e sentirci con frequenza. Nel frattempo, aveva concluso il suo rapporto con il precedente procuratore e mi chiese di dargli una mano a tornare a Giulianova. Avevo un ottimo rapporto con il presidente Quartiglia e con il suo consulente di mercato Luca Evangelisti, ai quali, tra l’altro, Ferrigno piaceva molto, e così lo accontentai. A tal proposito, proprio per agevolare la trattativa economica, rinunciai al mio compenso.

Da allora diventai il suo procuratore e. soprattutto, si creò un rapporto di grandissima amicizia. Mai un mandato firmato: non ne avevo bisogno, così come con quasi tutti i tantissimi calciatori che ho assistito. Erano altri tempi. Nel 2002/2003 decidemmo di andare in C2 al Catanzaro dove, nonostante diversi problemi iniziali prima dell’avvento in società del dott. Parente e di Massimo Poggi, la squadra riuscì a raggiungere i playoff e fu ripescata in C1. Fabrizio divenne per tutti “il Sindaco” e disputò, insieme con i compagni,  un grande campionato. Mi vengono in mente tantissime cene a Soverato con lui e con tanti altri calciatori e, ogni volta che si brindava, Fabrizio voleva che ci si guardasse dritto negli occhi: un’abitudine che non abbiamo mai perso negli anni. Parlavamo tanto di calcio, ma non solo. Con lui c’era una grandissima sintonia, lo stesso modo, passionale, di vivere la vita. Gli stessi gusti su tante cose. Ricordo che a pochissimi giorni di distanza e senza che uno sapesse nulla dell’altro, acquistammo da suo cognato, gioielliere, lo stesso modello, tra tanti, di Rolex: uno Yacht-Master grigio. 

La stagione successiva a Catanzaro fu un’apoteosi: promozione diretta in B ed il Sindaco, con la fascia di capitano, grandissimo protagonista. Era una serie C di altissimo livello, sicuramente superiore a quella degli ultimi tempi, c’erano calciatori che oggi giocherebbero in serie B a vincere. Il Catanzaro, dove avevo in procura 8 titolari, era stato allestito da Pasquale Logiudice, al suo primo anno da direttore sportivo; sbaragliò squadroni come il Crotone di Vrenna e di Ursino, l’Acireale di Pulvirenti e Lo Monaco, la Viterbese di Gaucci. Fabrizio provò una grandissima gioia, una soddisfazione immensa. Non ricordo quante furono le volte che festeggiammo…

I protagonisti di quell’impresa furono presto dimenticati, in particolar modo Pasquale Logiudice. Subentrò nella società del Catanzaro tal Nino Princi, il quale era gelosissimo di Fabrizio e lo soffriva tantissimo perché sapeva che era l’idolo dei tifosi ed il trascinatore della squadra. Ferrigno capì immediatamente che Princi sarebbe stato la rovina del Catanzaro e che per lui non ci poteva essere più spazio. Ne parlammo tantissime volte: era dispiaciutissimo che quella splendida avventura in terra calabra fosse arrivata al capolinea. Ma come abbiamo convissuto i momenti felici, così abbiamo fatto con quelli tristi: l’indagine sul calcio scommesse, dove si cercava più la visibilità che non la verità, dove dovevano trovarsi per forza dei colpevoli e, ovviamente, tra i pesci piccoli e non tra quelli grossi. Quasi un anno perso per Fabrizio, che poi ricominciò dalla Juve Stabia, per poi far ritorno, ma senza entusiasmo, a Catanzaro in B. Dovevamo trovare nuovi stimoli, rivivere nuove emozioni. A Pisa era andato Braglia, lo stesso mister dei fasti di Catanzaro, un allenatore che dai suoi calciatori sapeva trarre il massimo, un uomo a cui Fabrizio era legato. Il Pisa la stagione precedente  si era salvato ai playout contro la Massese, con un gol di Eddy Baggio al 98° minuto. La piazza contestava il presidente Covarelli e il direttore sportivo Gianluca Petrachi, che quasi non potevano uscire da casa ed il clima non era idilliaco. Feci il contratto a Gabriel Raimondi, reduce da due grandi campionati e  due consecutive promozioni con il Gallipoli. Era a scadenza e si trovava in Argentina da dove mi mandò una procura speciale per concludere con il Pisa. In quella occasione a Petrachi  proposi di prendere Ferrigno, ma mi disse che non voleva prenderlo per via della squalifica di 2 anni prima. Gli dissi che era uno str…. e che non poteva non prendere un calciatore che gli avrebbe fatto la differenza, Il rifiuto continuò per parecchi giorni, ma Fabrizio voleva Pisa. Non mi arresi e decisi di andare in Toscana per incontraredi nuovo personalmente Petrachi: mi era venuto un lampo di genio ed avevo un asso nella manica. Andai in sede a parlare con il direttore e gli feci una di quelle proposte che non si potevano rifiutare: gli dissi che avevo una risoluzione di contratto senza data firmata da Ferrigno e che avrebbe potuto utilizzarla in qualsiasi momento. Fu l’arma vincente e strappai un biennale con un aumento per l’anno successivo in caso di promozione in serie B. Fabrizio mi raggiunse subito e firmò contratto e risoluzione. 

Fu un’annata fantastica. Divenne il capitano, realizzò 8 reti e trascinò la squadra ad una promozione straordinaria. Come a Catanzaro, divenne l’idolo dei tifosi, l’uomo squadra e l’uomo spogliatoio, il riferimento per il presidente Covarelli, che presto gli restituì la risoluzione. Io a Pisa andavo spesso e, oltre a lui, gestivo Raimondi, De Simone e Biancone. Fabrizio organizzava sempre cene a Tirrenia ed il gruppo si era cementato anche fuori dal campo. Aveva qualche problema fisico e non riusciva ad allenarsi benissimo. Ogni volta non si sapeva con certezza se sarebbe stato in campo oppure no. Ma allo stadio, quando iniziava il riscaldamento prima della partita, lui c’era sempre ed il pubblico, appena lo vedeva corricchiare esultava e si sentiva tranquillo: la squadra avrebbe avuto la sua guida, il suo capitano. E lui, come al solito, dava tutto, oltre ogni limite, oltre ogni dolore. Gli avversari lo rispettavano, i tifosi lo adoravano, i compagni di squadra ed il procuratore lo amavano. Terminò la carriera l’anno dopo, di nuovo a Catanzaro, ma non ce la faceva più, i dolori non lo abbandonavano. Era troppo intelligente e capì che la sua carriera nel calcio poteva proseguire soltanto dietro ad una scrivania e non più in campo. Un paio di anni dopo tornammo insieme a Pisa per vedere una partita. Mentre salivamo le scale per accomodarci ai nostri posti, tutti i tifosi della tribuna, appena vistolo, si alzarono in piedi e iniziarono a battergli le mani e fu una standing-ovation unitamente agli spettatori di curva e gradinata. Roba da brividi.

Pisa ha amato Fabrizio forse più di qualsiasi altra piazza e Fabrizio ha amato Pisa forse più di qualsiasi altra piazza, sebbene la sua permanenza sia durata soltanto un anno.  Dopo l’addio al calcio giocato, faceva il direttore sportivo e lo faceva bene. Ci siamo sentiti sempre, visti sempre, incontrati sempre, a Milano, a Perugia, a Taranto, a Pagani, a Modena, in Sicilia,a nche quando non avevamo alcun interesse specifico di operazioni di mercato. Conoscevo i suoi figli, i più grandi li ho visti crescere. E conoscevo Giovanna, sua moglie, ed i figli più piccoli. Sono stato anche ospite a casa loro.

Poi la malattia. In un primo tempo sotto controllo, lui non la temeva. Continuavamo a sentirci e a vederci quando era possibile. Sempre lo stesso sorriso, la stessa gioia di vivere, l’amore per la famiglia, a cui si era aggiunto quello per la Madonna. Con Giovanna andava spesso a Medjugorje. E, poi, l’acutizzarsi di quel male subdolo, strisciante. L’ultima volta che ci siamo visti è stato il 29 novembre dell’anno scorso a Bologna, in clinica, dove era stato ricoverato il giorno prima. Ricordo ancora l’espressione del suo viso, la gioia nei suoi occhi appena mi ha visto entrare nella camera dove si trovava anche Giovanna. Non avremmo dovuto, perché le sue difese immunitarie erano molto basse, ma non ci abbiamo pensato per niente e ci siamo stretti in un lungo e forte abbraccio. La moglie mi ha detto che era tantissimo tempo che Fabrizio non abbracciava qualcuno.

Abbiamo parlato per qualche ora, sempre guardandoci negli occhi, come se avessimo dovuto brindare anche quel giorno. Per l’ultima volta. Non si era arreso. Voleva tornare a fare il suo lavoro. Abbiamo parlato di calcio. E non solo. Era sereno. Come era sempre stato, anche nei momenti difficili. Contava di farcela. Poi è tornato in Sicilia e sono continuate le nostre sempre più rare telefonate (spesso non aveva la forza di parlare…) ed i nostri tanti messaggi su whatsapp. Li conservo tutti, testimonianza di una via crucis che lo ha portato fino agli ultimi giorni. Pensavo di essere preparato, ma evidentemente non lo sono.

Guardo i video di Catanzaro e di Pisa. Un groppo in gola e qualche lacrima.
Ciao grande amico mio.”