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DANNY DRINKWATER, UN TOCCASANA PER RANIERI

24.01.2016 | 10:58

Vardy e Mahrez, Mahrez e Vardy. Se il Leicester è ancora lassù, in vetta alla Premier, con 47 punti conquistati in 23 partite, è soprattutto merito loro, autori (in coppia) di ben 29 delle 42 reti messe fin qui a segno dai Foxes. Merito loro, vero, ma anche del demiurgo Ranieri, capace di plasmare un autentico gioiellino del calcio inglese. Alle loro spalle, altri 9/11 fatti di grinta, cuore, passione, tenacia. E anche tecnica, eccome. Un nome su tutti: Danny Drinkwater. Magari ai più un profilo semi-sconosciuto fino a qualche mese fa, balzato agli onori della cronaca più per la simpatica traduzione in italiano del suo cognome che per altro. Almeno da ieri, gli occhi sono puntati su di lui per motivi ben diversi: quelli prettamente calcistici. Nel successo per 3-0 al King Power Stadium ai danni del malcapitato Stoke City a sbloccare il punteggio è stata proprio una sua prodezza, la sua prima marcatura nella massima serie. Una conclusione semi-strozzata, di prima intenzione, dai 20 metri, di quelle difficili, con la sfera che ti viene incontro. Una circostanza che può scaturire in due sole situazioni: palla in curva o palla in buca d’angolo. Per sua fortuna, ha prevalso la seconda opzione. Quella più dolce, più magica, più irriverente. Da assaporare fino all’ultimo secondo. Il vantaggio è stato poi blindato con il 16esimo sigillo in campionato del solito Vardy (capocannoniere davanti a Lukaku e Ighalo, desiderosi di soffiargli lo scettro), servito proprio dal protagonista della nostra rubrica odierna, e dal subentrante Ulloa. Niente centro per Mahrez (reduce, a onor del vero, da due rigori di fila falliti), ma poco male. Il consiglio per gli scettici è di vedere e rivedere il magico assist (elastico più esterno) per la terza marcatura del Leicester. Che, con un collettivo così, può davvero continuare a credere a un obiettivo sopra le righe.

 

All’anagrafe figura come Daniel Noel Drinkwater, ma per tutti è sempre stato “Danny”. Lui, nato a Manchester il 5 marzo del 1990 che mai in carriera aveva immaginato di poter competere a questi livelli. Fino a lottare per il vertice, dove l’aria è rarefatta e la tensione può facilmente giocare brutti scherzi. Ma l’ansia da prestazione agonistica, Drinkwater, l’ha sempre gestita bene. Che fosse l’Huddersfield Town (sua prima esperienza da professionista in Football League One dopo tre anni passati a maturare tra le giovanili dello United) o l’attuale miracolo biancoblù. Una carriera vissuta costantemente in punta di piedi, in cui né Cardiff City, né Watford, né tantomeno Barnsley gli hanno concesso la possibilità e la costanza per esprimere tutto il suo potenziale, nonostante avesse dimostrato a tutti di poter diventare una certezza del calcio inglese grazie anche alla sua militanza nella Nazionale Under 18 e Under 19. A Leicester dal 2012, nel silenzio generale si è conquistato partita dopo partita la fiducia e la stima di tutti, oltre che uno scontato posto da titolare prima e dopo la cavalcata trionfale che ha riportato i Foxes in Premier nell’estate di due anni fa. Da allora sembra passata un’eternità. Il Leicester in Championship? Quasi una bestemmia, pensarci adesso. Eppure a inizio stagione, dopo la salvezza guadagnata sul campo lo scorso anno grazie ai 10 punti messi a referto nelle ultime quattro giornate, era tra le squadre destinate a lottare per non retrocedere. Ora, con un tale potenziale offensivo e una mediana blindata dal jolly Drinkwater, sognare in grande è lecito. Ormai un dogma, più che una banale aspirazione.

 

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Foto: Leicester on Twitter