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DA ERIKSSON A PIOLI: ECCO LA LAZIO FORMATO CHAMPIONS

18.08.2015 | 09:46

14 settembre 1999. Porta una data precisa il debutto assoluto della Lazio in Champions League. L’avversario? Sembra uno scherzo del destino: il Bayer Leverkusen. Già, lo stesso Bayer che questa sera la squadra di Pioli, a 16 anni di distanza e con un mare di emozioni vissute e di storie di campo da raccontare, si troverà ad affrontare per accedere alla fase a gironi. Quella che garantirebbe il famoso gruzzolo da 30 milioni da reinvestire sul mercato e soprattutto (anche se ogni priorità dipende dai punti di vista) la possibilità di sfidare le compagini più prestigiose del Vecchio Continente. Ma torniamo a quella sera di 16 anni fa. In campo una Lazio stellare, fresca del trionfo in Supercoppa europea contro gli “invincibili” Red Devils di Ferguson, con il tecnico scozzese che non ha mai esitato a definire “il più forte del mondo” quel colosso biancoceleste. Un esordio che porta la firma di Sinisa Mihajlovic, una punizione da casa sua che bacia il palo interno e si insacca per zittire la BayArena. Finirà 1-1, ma sarà la conferma che quella Lazio sarebbe stata pronta a un cammino spedito nella competizione. 


22 marzo 2000. E’ la magica notte di Chelsea-Lazio 1-2, quella che garantirà ai capitolini il primo posto nel secondo girone di Champions (a quei tempi non c’erano gli ottavi di finale, ma un altro raggruppamento che precedeva i quarti di finale). La sassata di Poyet che al 44′ beffa Marchegiani dà l’impressione di una serata da incubo, il secondo tempo regalerà tutta un’altra storia. Il tocco sotto misura di Inzaghi e la solita pennellata su punizione di Mihajlovic regaleranno ai biancocelesti un primato insperato, verso un sogno stellato che, a quel punto, prendeva sempre più forma. Ciò che impressionò di più di quella gara, oltre alle giocate sopraffine e alla solidità di una corazzata consolidatasi partita dopo partita, fu il fatto che dopo aver ribaltato il risultato la Lazio continuò a macinare gioco, alla costante ricerca della terza rete. Mai un accenno di melina, mai un retropassaggio tattico, mai un calo di ritmo per far rifiatare compagni e cronometro. Insomma, una rarità assoluta paragonata al calcio moderno. Tre punti d’oro allo Stamford Bridge fatalmente disintegrati 15 giorni dopo, nella nefasta serata di Valencia. Qualificazione alla semifinale inizialmente riaperta dal 4-2 della speranza di Salas e definitivamente richiusa con la quinta marcatura di Claudio Lopez. Che, qualche mese più tardi, adotterà l’Olimpico come sua nuova casa.


Nelle due successive stagioni la Lazio comincerà a considerare la Champions come suo habitat naturale, tuttavia senza regalare particolari spunti degni di nota. Fino ad arrivare al 13 agosto del 2003. Lazio-Benfica, preliminare a cinque stelle con Roberto Mancini in panchina e una compagine che ha da poco salutato i grandi campioni (specie il capitano Alessandro Nesta) dopo i noti problemi finanziari esplosi sotto la gestione Cragnotti. Il leit motiv è sempre lo stesso: nella Lazio dei Fiore e dei Corradi (entrambi in gol all’andata a Roma), spicca ancora una volta una punizione leggendaria di Sinisa Mihajlovic. Palla a giro nell’angolino alto dove Moreira proprio non poteva arrivare. “Nemmeno con l’elicottero l’avrebbe presa”, sottolineò qualcuno quella sera allo stadio. Ci pensò poi Cesar a blindare in Portogallo l’accesso ai gironi, chiusi prematuramente e amaramente con il ko al 93′ sul campo dello Sparta Praga di Poborsky. Sì, lo stesso centrocampista ceco costretto a “scappare” dalla nostra serie A dopo i celeberrimi fatti del 5 maggio 2002.


Quel 28 agosto del 2007 in pochi potevano pensare che una Lazio composta da elementi come Siviglia, Zauri, Stendardo, Mudingayi e altri giocatori oggettivamente non da top club europeo potesse staccare il pass per un’altra annata nella massima competizione continentale. Soprattutto dopo l’1-1 interno di due settimane prima (di Mutarelli il gol della speranza). E invece a Bucarest, in casa della Dinamo, la squadra di Delio Rossi si impose per 3-1, merito soprattutto del tandem Pandev-Rocchi che ha regalato negli anni tante perle ai tifosi laziali e agli appassionati di calcio. Ma di quel torneo resterà indelebile davanti agli occhi il 2-2 all’Olimpico contro il Real Madrid del 3 ottobre. Una differenza in termini di prestigio e di monte ingaggi che oggi farebbe rabbrividire qualsiasi dirigente italiano. Eppure su quel terreno di gioco i valori tecnici sembravano pressoché livellati. Da una parte Cribari, Behrami, Meghni, Makinwa, dall’altra Cannavaro, Sneijder, Robben e un giovanissimo Higuain. Due doppiette d’autore: quelle di Van Nistelrooy e di Goran Pandev, con il macedone capace di far emozionare come un tempo i 65 mila spettatori che gremirono gli spalti dell’impianto romano.


A quasi otto anni di distanza dall’ultima musichetta, quella più dolce da ascoltare, sarà Stefano Pioli a tentare l’impresa. Da Mihajlovic a Basta, da Stankovic a Biglia, da Salas a Klose. E’ cambiato tutto: rosa, ambizioni, mentalità, ambiente. Ma la voglia di riassaporare i palcoscenici più ambiti non cesserà mai di esistere. Dal Bayer al Bayer, da Eriksson a Pioli: Lazio, è la tua notte. Per inseguire un sogno distante appena 180 minuti.

 

 

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