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CIRO A PAPÀ

30.05.2014 | 00:15

Ciro a papà, immagino quanto siano orgogliosi i tuoi. Capocannoniere della serie A, la maglia azzurra cucita addosso, un futuro in Bundesliga. Il Borussia Dortmund ha fatto di tutto per averti e ti ha avuto. Ha scucito poco meno di venti milioni, che non sono bruscolini, e ti ha portato a casa. Ti auguro di fare quattro o cinque gol al Mondiale, in Germania ti accoglierebbero con le fanfare e con la banda. E magari qualcuno in Italia ti rimpiangerebbe perché tu sai come siamo fatti: se ti chiamassi Immobilão, facciamo Cirinho Immobilão, oppure Cirinho come nome d’arte, già due o tre anni fa ti avrebbero valutato quindici milioni. E da queste parti non sarebbero arrivate mezze cartucce pagate in doppia cifra e poi considerate – giustamente – inenarrabili bidoni.

Ciro a papà, l’ultima volta che ci siamo parlati mi dicesti “devo solo ringraziarti, so che stai esagerando con i complimenti”. Non eri ancora il capocannoniere della serie A, qualcuno pensava di avere a che fare con una mezza tacca. Al Genoa, prima che ti prendesse il Toro, ti avevano trattato come un riempitivo perché da quelle parti spesso il mercato lo fanno infornando babà e scambiando l’oro con il bronzo.

Ciro a papà, un giorno ci incrociammo al “Gran gala”, ti avevano appena premiato, eri in compagnia di Insigne, davanti a te c’era Buffon e magari Gigi non sapeva che un giorno – sono le cose di queste ore – avresti spiccato il volo. Ti chiamai, quella sera a Milano, in mezzo alla ressa, mio figlio voleva fare una foto con te. Ricordo la tua educazione, lo prendesti in braccio e mi venne in mente la storia dei bravi guaglioni che da bambini vivono per il calcio, che realizzano i sogni e che per questo si specchiano – con generosità – nei sogni di altri ragazzini. Quando una semplice foto rappresenta quello che per te rappresentava un gol del tuo idolo, una domenica al San Paolo, oppure chissà cosa.

Ciro a papà, per me sei il vero made in Italy che avanza. Ricordo che lo scorso febbraio, in Rai, quando mi chiesero chi avrei portato al Mondiale risposi trattenendo il fiato “Immobile”. Notai una specie di incredulità in studio, mi guardavano come se fossi un ufo, erano ancora le settimane di Gilardino e Toni, dei ballottaggi e dei soliti noti. Per me tu avevi vinto, come aveva vinto tuo compare Cerci. E dopo pochi mesi un plebiscito: salire sul carro del capocannoniere, parlo in generale, è fin troppo semplice.

Ciro a papà, quando sarai a Dortmund non dovrai mica snaturarti. L’importante è fare quello che hai sempre fatto. Hai detto: “Noi napoletani ci facciamo capire in tutto il mondo”. Vado oltre: il tuo linguaggio in campo è universale, conosci i movimenti sul filo, hai tecnica e fantasia, mica cambierà qualcosa in Bundesliga. Se farai quello che hai sempre fatto, l’Oktoberfest sarà fatto apposta per qualche bel boccale alla tua salute. Intendo dire che, in condizioni di normalità, non ci saranno problemi di ambientamento in grado di snaturare la tua arte. Sono sincero: a me la Bundesliga non fa impazzire, magari li farai impazzire tu.

Ciro a papà, non sei l’orgoglio italiano. Sei semplicemente la fabbrica del gol che a noi non fa comodo, chissà perché. A loro, i nostri amici tedeschi, invece sì. Quando qualcuno me lo spiegherà, chissà, tu sarai davanti al portiere, lo impallinerai. E magari ci aiuterai a fare un gran Mondiale. Lì, vedrai, che sul tuo carro ci saranno anche gli allenatori che avevano scambiato caviale per mortadella. Fatti due risate, l’oro in casa non ci piace. Immobile tu, di cognome; immobili noi, dinanzi all’evidenza che non sappiamo cogliere al volo. Come fai tu, quando devi sbatterla sotto l’incrocio senza pensarci un secondo. Immobile per uno (il Borussia), tutti per Immobile. Sarà difficile, impossibile, non seguirti con affetto e simpatia. Ma prima un gran Mondiale, eh…