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ADEM LJAJIC E LA QUINTA TAPPA GRANATA DAL SAPORE DI RISCATTO

19.07.2016 | 09:50

A Firenze quasi nessuno lo ha dimenticato. Logica conseguenza di un talento che sboccia, brilla e incanta la platea dopo un iniziale periodo di totale anonimato. Ma il leitmotiv della carriera di Adem Ljajic è stato fin qui un continuo saliscendi degno del più rinomato parco divertimenti. Promesse mantenute, poi disattese. Gioie, perle di rara bellezza, numeri da alta scuola, ma anche topiche clamorose, errori, punti di non ritorno. Come quell’ormai celeberrimo litigio con Delio Rossi, il 2 maggio del 2012, l’autentico fondo del barile di un’esperienza gigliata costellata di ricordi più o meno dolci. Probabilmente non sapremo mai le parole proferite al tecnico dopo il sarcastico applauso tali da scatenare una simile reazione che ha fatto il giro del mondo. Ma una cosa è certa: quello che avrebbe dovuto rappresentare per giusta causa la fine di un rapporto lavorativo si è trasformato nell’episodio della svolta. Il preludio alla miglior stagione mai vissuta in carriera. E’ la nuova Fiorentina di Vincenzo Montella e Adem, reduce da un lungo periodo fuori rosa, torna a splendere e mette a segno 12 gol in 31 presenze tra tutte le competizioni. Su punizione, dalla distanza, al termine di fraseggi esemplari con il compagno di reparto Jovetic. L’intesa tra i due rasenta la perfezione e gli consente di trovare anche la prima tripletta in Italia, nell’ultima gara di campionato ai danni del Pescara. Una vera e propria resurrezione, dunque. La stessa che si augura di compiere a Torino, agli ordini di Mihajlovic, seppur dopo un tentennamento durato per settimane. I due parlano la stessa lingua, non solo a livello idiomatico ma anche e soprattutto per l’idea di gioco che hanno in mente. Un calcio propositivo, dinamico, basato sulla corsa e la tecnica degli esterni e il sacrificio di un centrocampo che sappia accompagnare al meglio le due fasi di gioco. Altro punto di contatto tra i due: se Sinisa viene dalla sfortunata e amara esperienza di Milano, lo stesso si può dire di Ljajic, su sponda nerazzurra. Un’annata cominciata con le migliori premesse, con il 4-2-3-1 di Mancini che gli calzava a pennello. Il campo dava ragione a entrambi, l’Inter non poteva praticamente fare a meno di lui. Poi qualcosa si è rotto: mancanza di continuità di rendimento, prestazioni non all’altezza, l’impressione di una disarmante svogliatezza, quasi un elemento abulico nella scacchiera del Mancio. Eppure il talento di Novi Pazar classe 1991, ai tempi del Partizan, non era affatto così. Nei 18 mesi prima del grande salto in viola aveva messo a referto prestazioni da leccarsi i baffi, specie sotto il profilo dell’agonismo e della concentrazione per tutti i 90 minuti. Del resto il suo contributo era servito a portare a casa uno scudetto e una Coppa di Serbia, ad oggi gli unici trofei della sua personalissima bacheca. E anche nelle due stagioni a Roma con Garcia sembrava davvero rigenerato. Ora una nuova caduta, ma occhio a trarre facili conclusioni: all’ombra della Mole, quinta tappa della sua altalenante esperienza calcistica, potrebbe seriamente tornare a brillare di luce propria. Ljajic da una parte, Iago Falque dall’altra, il futuro è ancora tutto da scrivere. Ma se i tanti indizi del passato fanno una prova, spoilerarne il finale appare un compito piuttosto agevole.

 

Foto: Torino on Twitter