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Il provocatore: “Violenza in Francia, fallimento d’Europa. E gli inglesi…”

13.06.2016 | 15:30

Nuovo approfondimento del nostro provocatore Jody Colletti, questa volta però non si parla di mercato…

Tema: La violenza negli stadi. Svolgimento (…). Periodo di esami, chissà. Ma alzi la mano il 30-40enne di oggi cui nella seconda metà degli Anni 80 non sia stato chiesto di mettere nero su bianco le proprie considerazioni su tale tematica. Pensierini in riga o riflessioni più approfondite, ma tutti comunque a scrivere e parlare di quella che all’epoca veniva reputata una vera e propria piaga. Chiaro, erano gli anni del post Heysel, ferita ancora apertissima e che aveva visto tristemente coinvolta la Juventus, costretta a contare i 32 italiani morti (sui 39 totali) nella carneficina occasionata dalla finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool.

Tranquilli, vi risparmieremo il triste riepilogo delle altre tragedie (verificatesi però in terra anglosassone), Hillsborough su tutte, o delle contromisure adottate: non vi elencheremo quindi i vari provvedimenti, quasi tutti varati dal governo Thatcher nel quinquennio 1985-1990 per neutralizzare il fenomeno hooligans, tra i primi inflazionati vocaboli britannici a penetrare come lama nel burro nel nostro lessico. Nemmeno vi ricorderemo i nomi dei tifosi deceduti in Italia negli ultimi decenni a margine di eventi calcistici. Non è questa la sede adatta, ci dilungheremmo fino a tediarvi e d’altronde bastano un paio di veloci googleate per avere il panorama completo.

Arriviamo piuttosto ai giorni nostri: sono bastati soltanto 3 giorni, tanti ne sono passati dall’inaugurazione dello Stade de France, affinché il bilancio degli Europei d’oltralpe assumesse già nitidi i contorni del disastro. Inglesi vs francesi, russi vs inglesi (anche dentro il Velodrome, unico accadimento che ha un minimo destato la sonnacchiosa Uefa), polacchi vs irlandesi, francesi vs turchi, tedeschi vs ucraini: nessuno se la sente di tirarsi indietro – ci mancherebbe, quasi fosse una questione d’onore – in questo clima da tutti contro tutti. Frange violente contrapposte e scontri senza soluzione di continuità. Temevamo l’Isis, lo temiamo ancora, sull’onda emotiva della Parigi insanguinata del 13 novembre, ma avevamo sottovalutato le centinaia di – gigantesche – teste di cazzo che ancor oggi, Anno Domini 2016, popolano allegramente il nostro Vecchio Continente. Perdonateci lo scivolone, teoricamente mai una parolaccia dovrebbe trovare albergo in un contributo giornalistico, ma al riguardo ci viene in mente il teorema del compianto Funari su “Lo stupidino”: il termine era un altro, ma non usiamo comunque sinonimi per non creare illusioni.

Dove vogliamo andare a parare? È presto detto. Piaccia o non piaccia, il Paese più sicuro quando si tratta di mega eventi calcistici è giustappunto l’Inghilterra, patria dei teppisti che a casa propria – da un quarto di secolo – fanno i bravi, perché tanto sanno che all’estero possono ancora delinquere, unitamente agli esimi colleghi provenienti da altre lande. Anche se in teoria ci sarebbero i mezzi (sequestro del passaporto compreso) per evitare la trasferta ai più facinorosi: è evidente come l’azione di filtraggio non funzioni nemmeno oltre Manica. Nella terra di Sua Maestà Elisabetta II, immortale vera (altro che Cirù di Gomorra o il Cristopher Lambert d’annata), già nel 1985 si accorsero che occorreva un giro di vite sugli alcoolici in concomitanza di manifestazioni sportive. Il Ministro dell’Interno francese – per dirne una – solo nel pomeriggio di ieri ha istituito il “divieto di vendita di alcolici nelle zone sensibili”. Ma poche ore dopo il morto, un nordirlandese alticcio caduto da un parapetto, è arrivato lo stesso. Ve ne diciamo un’altra? In Inghilterra la polizia può arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche per semplici episodi di violenza verbale. Figuriamoci quando si passa dalle parole ai fatti. E al cospetto di pene realmente severe, tutti buoni al proprio posto. Ma allora facciamoli organizzare solo agli inglesi le grandi kermesse del pallone, tutte sotto la loro giurisdizione che tanto timore può incutere, almeno finché fra Bruxelles e Strasburgo non suoni la sveglia. Già, perché il caos a Euro 2016, a parere di chi scrive, è palesemente figlio del fallimento dell’Europa, in quest’ambito di sicuro certificato. UE incapace, nel corso degli anni, di ideare e imporre a tutti gli Stati membri una legislazione ferrea, unitaria e il più possibile condivisa. Eppure il modello british ce l’aveva lì, sotto il naso. Da affinare, magari, ma comunque da ricalcare nei suoi punti essenziali. A mali estremi, estremi rimedi. E non ce ne vogliano gli storici anti-Thatcher, che saltuariamente tentano di offuscare la portata della svolta, quando è evidente che nel Regno Unito il problema è stato sostanzialmente debellato, salvo eventuali episodi isolati (tipo il recente assalto al pullman dello United).

L’alternativa è accontentarsi ancora dell’omino in doppiopetto di turno che, davanti ad un microfono, pronuncia – entusiasta – frasi come “vogliamo stadi sicuri, a misura delle famiglie” o “la partita di oggi sia soltanto una festa di sport!”. Parole superficiali, come le intenzioni di chi ha il potere di (non) decidere. Non a caso buona parte degli inglesi pensa sia arrivato il momento di uscire dall’Unione Europea. O forse la maggioranza, lo scopriremo il 23 giugno. Brexit: do you know?

Jody Colletti

Foto: Marca english