Messi e la notte di Quito, 471 giorni dopo quell’addio alla Nazionale

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“La mia avventura con la maglia dell’Argentina finisce qui. La decisione è presa. Ho fatto di tutto per cercare di vincere qualcosa, ma non ce l’ho fatta”. Così parlo Leo Messi il 27 giugno del 2016, nei minuti successivi alla sconfitta ai rigori nella finale di Coppa America contro il Cile. La seconda consecutiva, contro lo stesso avversario e con le stesse modalità. Nel 2014 c’era già stata l’amarezza sconfinata per il Mondiale brasiliano perso contro la Germania, vittoriosa grazie alla zampata di Mario Goetze nei supplementari. Troppe, tre finali perse di fila. Dichiarazioni rilasciate a caldo, caso rientrato nel giro di qualche settimana che aveva fatto tribolare gli argentini. Nella sfida successiva, il 2 settembre 2016 contro l’Uruguay, La Pulga era già al suo posto.



Ma questa notte gli serviva, eccome, perché a dispetto delle 58 reti che aveva già segnato con la camiseta dell’Albiceleste, a Leo veniva imputato di non aver mai fatto davvero la differenza difendendo i colori del suo Paese. E giù con l’immancabile paragone con Maradona, che nel 1986 vinse un Mondiale praticamente da solo al di là della famigerata Mano de Dios. Ecco perché la tripletta all’Ecuador, ennesima sintesi perfetta delle sue qualità (potenza e killer instinct da attaccante puro nelle prime due reti, classe impareggiabile nel liftato del tris), per Lionel può rappresentare un nuovo inizio. La rincorsa all’agognato primo titolo con la Nazionale maggiore è ripartita questa notte da Quito, 471 giorni dopo l’addio annunciato. Con qualche pressione in meno.

Foto: futbolabilceleste