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Thuram sui buu razzisti a Lukaku: “C’è ipocrisia. I club si sentano responsabili”

04.09.2019 | 14:26

I comportamenti razzisti tenuti dai tifosi del Cagliari al momento del rigore calciato da Romelu Lukaku hanno riportato l’attenzione dell’opinione pubblica su un atteggiamento che nel mondo del calcio non deve esser tollerato. Al riguardo si è espresso Lilian Thuram, da sempre impegnato nella lotta alle discriminazioni, che al Corriere dello Sport ha detto: “Cosa possono imparare i tifosi italiani se da tanti anni si parla e non si fa niente? Per imparare bisogna muoversi, prendere delle decisioni per risolvere il problema. Se non viene fatto niente, si dà il diritto di continuare a chi si comporta in un certo modo. Chi comanda evidentemente non considera gravi i buu e il razzismo. Per me, se c’è chi non fa niente, vuol dire che è d’accordo con quelli che fanno buu. Se ti dà fastidio una cosa, fai di tutto per cambiarla. In Francia per esempio gli arbitri interrompono le partite in caso di atteggiamenti contro l’omosessualità sugli spalti: sospendere la gara e mandare le due formazioni negli spogliatoi vuol dire educare la gente. In Italia non mi ricordo di prese di posizione così forti. Quando si parla del razzismo bisogna avere la consapevolezza che non è razzista il mondo del calcio, ma che c’è razzismo nella cultura italiana, francese, europea e più in generale nella cultura bianca. E cambiare una cultura non è facile. Da quanti anni ci sono questo tipo di reazioni dopo fatti simili? Alla fine tutti pensano che sia una cosa grave, ma una soluzione va ancora trovata. Se per tanti anni ne parla ma non si riesce a fare niente, vuol dire che c’è un’ipocrisia tremenda e che manca la volontà di risolvere il problema. I club devo sentirsi responsabili per quello che succede perché certi episodi si verificano dentro uno spazio chiuso ovvero uno stadio. E quando dico responsabili, non intendo colpevoli. Le società devono dire: «Noi siamo responsabili. Cosa possiamo fare?». Se ammetti di essere responsabile è un buon inizio perché non succeda più. Se invece nessuno si sente responsabile…“.

Foto: Zimbio